(Nella foto, l’Università di Bar Ilan)
di Nathan Greppi
Il boicottaggio si manifesta in diversi modi: annullamento di inviti a conferenze, congelamento di nomine, cessazione di collaborazioni accademiche, rifiuto di articoli scientifici per motivi politici, interruzione delle lezioni, rifiuto di partecipare ai processi di promozione dei membri delle facoltà israeliane e boicottaggio radicale di intere istituzioni accademiche.
Prima del 7 ottobre Ravit Alfandari, ricercatrice presso la Scuola di Lavori Sociali dell’Università di Haifa, ha lavorato con un accademico nord-irlandese per oltre un anno su uno studio riguardante la violenza domestica. Dopo lo scoppio della guerra a Gaza, in un primo momento il collega le ha scritto: “Ti capisco… Anch’io so cosa vuol dire vivere sotto una minaccia”. Ma in seguito l’ha informata di aver firmato una petizione che chiedeva il boicottaggio accademico di Israele.
“Ha detto: ‘Ti stimo molto, ma non ho intenzione di lavorare mai più con te. Non è una cosa temporanea. State commettendo un genocidio a Gaza’”, ha raccontato la Alfandari. La sua testimonianza è apparsa in un lungo articolo pubblicato su Haaretz nell’aprile 2024, assieme a quelle di altri accademici israeliani che dopo il 7 ottobre hanno visto crescere esponenzialmente gli episodi di boicottaggio nei loro confronti. E se per anni i sostenitori del BDS hanno detto di voler prendere di mira solo le istituzioni israeliane e non i singoli individui, dopo il 7 ottobre hanno gettato la maschera, discriminando ed emarginando diversi accademici solo perché israeliani.
Prima del 7 ottobre

“Prima degli attacchi del 7 ottobre, le università israeliane vantavano ampie e fiorenti partnership accademiche internazionali”, spiega a Mosaico Efrat Aviv, docente associata del Dipartimento di Storia Generale dell’Università Bar-Ilan. “Queste includevano la partecipazione attiva a consorzi di ricerca internazionali, ad esempio nell’ambito del programma Horizon Europe dell’Unione Europea, nonché accordi bilaterali con diverse istituzioni in Europa, Nord America e Asia. In discipline quali le scienze della vita, l’ingegneria e la medicina, le collaborazioni erano in gran parte basate sul merito scientifico, e rimanevano relativamente separate dalle tensioni politiche”.
Dello stesso avviso anche Gerald M. Steinberg, docente emerito di Studi Politici alla Bar-Ilan e presidente del think tank NGO Monitor, il quale ci racconta: “Nelle cosiddette materie STEM, riguardanti la scienza e la tecnologia, vi erano numerosi progetti congiunti con l’estero, anche perché Israele era visto come un paese leader in quest’area. Vi era un forte interesse da parte di ricercatori stranieri nel collaborare con gli israeliani in certi settori”.
Dopo il 7 ottobre
Secondo Steinberg, dopo il 7 ottobre “l’intensità del boicottaggio accademico contro Israele è cresciuta, colpendo anche le materie scientifiche, tanto che la cooperazione con le università in Europa e in Nord America è crollata, anche solo rispetto a due anni fa. Al punto che anche molti accademici che in precedenza non prendevano sul serio il problema, perché non li colpiva personalmente, oggi stanno cominciando a giudicarlo molto più seriamente”.
Come spiega invece Aviv, “il boicottaggio si manifesta in diversi modi: annullamento di inviti a conferenze, congelamento di nomine, cessazione di collaborazioni accademiche, rifiuto di articoli scientifici per motivi politici, interruzione delle lezioni, rifiuto di partecipare ai processi di promozione dei membri delle facoltà israeliane e persino il boicottaggio radicale di intere istituzioni accademiche. Gli istituti di istruzione superiore in Israele riscontrano anche una crescente difficoltà nell’attrarre studenti internazionali, così come criticità per ricercatori e studenti nel partecipare a conferenze e programmi di formazione all’estero”.
Aggiunge che oltre a coloro che dichiarano apertamente di voler boicottare Israele, “dopo gli attacchi di Hamas e lo scoppio della guerra a Gaza, il mondo accademico israeliano deve affrontare un ‘boicottaggio segreto’. Secondo un rapporto pubblicato dal Samuel Neaman Institute nel dicembre 2024, circa il 50% dei casi di boicottaggio accademico contro Israele vengono condotti di nascosto, senza alcuna dichiarazione esplicita delle loro motivazioni”.
Testimonianze in prima persona

Occupandosi di Turchia, Efrat Aviv ha toccato con mano l’odio verso Israele: “Alcuni colleghi turchi, naturalmente non tutti, che avrebbero dovuto partecipare a una conferenza internazionale che stavamo pianificando sui 100 anni degli ebrei nella Repubblica turca, sono semplicemente scomparsi dopo il 7 ottobre. Alcuni hanno smesso di rispondere. Altri hanno apertamente elogiato Hamas. Si tratta di accademici che, in modo scioccante, sono diventati veri e propri sostenitori del terrorismo. Coloro che hanno risposto, invece, hanno spesso iniziato i loro messaggi con la richiesta che il cosiddetto genocidio a Gaza finisse, e solo dopo hanno menzionato la possibilità di perseguire la pace anche per gli israeliani. L’ho trovato profondamente inquietante”.
Ai problemi con la Turchia, secondo lei, “si aggiunge l’attività dell’Iran: ci sono stati ripetuti attacchi da parte di hacker e tentativi di compromettere i sistemi informatici accademici. Anche il mio account di posta elettronica universitario è stato preso di mira più volte”.
Anche se dopo il 7 ottobre questi fenomeni sono esplosi, in realtà essi non rappresentano una novità: Gerald Steinberg racconta che “molti di noi hanno subito boicottaggi, in alcuni casi già 10-20 anni fa. Nel mio caso, a volte mi capita che quando propongo degli articoli a delle riviste accademiche, ricevo delle risposte ridicole, del tipo ‘non pubblicheremo questo articolo perché non tieni conto della sofferenza dei palestinesi o dei crimini di guerra israeliani’. Rifiutano di pubblicare gli articoli per ragioni politiche, non accademiche. Alcune volte sono stato invitato a delle conferenze, salvo poi essere informato dagli organizzatori che avevano deciso di annullare il mio invito per un cambio di programma”.
Secondo lui, a risentire di questa deriva sono soprattutto gli accademici israeliani più giovani: “C’è da dire che io sono un membro anziano del corpo docenti, ho lavorato in ambito accademico per quarant’anni, e quindi la mia carriera non risente particolarmente di tutto questo. Ma per i giovani accademici che conosco è molto più dura, perché a causa del boicottaggio gli è più difficile pubblicare i loro articoli e ottenere delle lettere di raccomandazione”.
Boicottaggio interno
Nell’ultimo ventennio, talvolta sono capitati episodi di accademici israeliani che hanno appoggiato il boicottaggio contro il loro stesso paese. Tuttavia, come spiega Aviv, “questi episodi sono rari all’interno del mondo accademico israeliano. Dal 7 ottobre, gli appelli interni al boicottaggio sono in gran parte scomparsi, sostituiti da un senso generale di solidarietà istituzionale di fronte alla crescente ostilità internazionale. Piuttosto che frammentarsi, la comunità accademica israeliana si è in gran parte unita per resistere ai tentativi di esclusione dal dibattito accademico globale. In altre parole, il boicottaggio interno non è scomparso del tutto, ma ora tiene un profilo più basso”.

Passare al contrattacco
Avendo il mondo accademico israeliano preso coscienza della minaccia che grava su di esso, non mancano i tentativi di contrastarla: “Oggi ci sono sforzi molto maggiori in Israele e da parte dei nostri alleati all’estero per contrastare i boicottaggi”, spiega Steinberg. “Per farlo, si sta provando ad esempio a fondare nuove riviste, gestite da docenti e ricercatori che non sono antisraeliani, cercando anche finanziamenti da parte di donatori non prevenuti. Ci vorrà un po’ di tempo, ma se queste misure verranno implementate, potremmo ribaltare la situazione”.
Anche Aviv può testimoniare che si stanno adottando delle contromisure: “Al fine di affrontare efficacemente questa pericolosa tendenza, è stata istituita una task force dal Comitato dei Direttori delle Università (VERA in ebraico), che opera utilizzando strumenti legali, sforzi diplomatici e altri mezzi per ridurre il più possibile la portata dei boicottaggi accademici contro le istituzioni e gli studiosi israeliani. E l’Università Bar-Ilan ha un comitato apposito per affrontare la questione dei boicottaggi accademici, elaborando delle strategie per combatterli. Inoltre, c’è una task force di docenti volontari, del quale faccio parte, che lavora per fornire supporto e indicazioni. Si tengono numerosi workshop e seminari sull’argomento, concentrandosi sulle strategie per contrastare il boicottaggio. È diventato, per molti versi, un argomento accademico a sé stante”.
Effetti a lungo termine
Sul lungo termine, Steinberg è ottimista sul fatto che i boicottaggi avranno la peggio, anche perché chi li mette in atto danneggia i suoi stessi interessi: “Israele è ancora all’avanguardia nell’innovazione, e credo che alcuni ricercatori, ad esempio nel campo delle scienze biologiche, si stanno rendendo conto che boicottando la cooperazione con gli atenei israeliani come l’Istituto Weizmann e il Technion, danneggiano le loro stesse ricerche”.
Più pessimista il punto di vista di Aviv: “La ricerca scientifica in Israele dipende dalle sue connessioni globali; è l’ancora di salvezza senza la quale la scienza israeliana non ha futuro. La ricerca fa parte di una catena di valori che include istituzioni accademiche e fondazioni di ricerca, e la nostra inclusione in questo sistema si basa sulla nostra capacità di impegnarci nell’arena globale. Se le attuali tendenze al boicottaggio persistono, le conseguenze a lungo termine per il mondo accademico israeliano potrebbero essere gravi. L’indebolimento dei legami globali con la ricerca minaccia non solo il nostro prestigio accademico, ma anche l’economia israeliana basata sull’innovazione. Senza un impegno costante nei consorzi internazionali, nella mobilità post-dottorato e nelle infrastrutture di ricerca congiunte, le università israeliane rischiano di diventare sempre più isolate”.